Who am I to judge. A phrase that has been around the international media: spoken by the present Pope, Francis, and he was referring to a demand made to him during a return trip by plane from a journalist about the pedophile scandals and violence perpetrated by several priests, cardinals and clergy around the world. The Pope’s response was out of context and was seen immediately as an opening of the same on issues related to homosexuality, while, in reality, was nothing but a distancing in relation to those facts of abuse and violence against minors by some officiating Catholic worship. Who am I to judge wants to be, as always in the Nicola Mette’s performance / action , a moment of reflection and social commentary.
Will present wearing the cardinal’s robe, a deep red that expresses for its length and its majestic brought the ecclesiastical pageantry, the pomp behind which some members, even prominent, the clergy were able to commit acts of violence and abuse in of minors, some have gone unpunished, others were amnestied with impunity. Who am I to judge you want to be also a pure irony sentence and cynical attitude towards those who often rises to the one who condemns homosexuality as abhorrent form of existence, as a disease, even as a way to weed out even through elimination psychological and physical, we recall the haunting and terrifying statements of Don Massimiliano Pusceddu, “gays are enemies of God and must die”, preaching hatred, while taking clemency attitudes in regard to acts of perversion and pedophilia against unarmed and innocent figures. In 2015 Don Silvio Foddis urged to use the flamethrower against gays for a picture he had seen in a pride where there were two naked boys.
A true virus in Sardinia that is wandering not only among the priests who homily instigate people against the LGBTI community.
In 2012 in Sindia (NU) in Sardinia in the performance / action “Liberdade Paridade Sessualidade” the artist has been the subject of criticism in the homily by the priest and was teased by some people of the same country with the written to the ground before his house and in the middle of the entrance of the village street: “SHAME! NICOLA METTE YOU ARE THE SHAME OF OUR TOWN, GAY “.
Radio Maria itself(2016) took a picture from the internet, which published as a citation in an article from the newspaper “Il Fatto Quotidiano”, of the performance / action “Quod Amor Coniunxit Not Separat Lex”, realized in Milan, without citing the source, speaking evil of Cirinnà law and Civil Unions, saying that, if the law had been approved, the homosexual couples should marry as dressed one in a wedding suit and the other one with white wedding dress, completely distorting the meaning. In the performance, however, the dress meant the unity of the people, making fun of white used that gown and carried to the altar by women deprived of their virginity. Cases of homosexuality in the clergy are, as normal, existing and persistent: all this goes unnoticed in a veneer of hypocrisy and of a system, the clerical, which often allows himself to interfere in the institutional world: we read in fact, the refusal of the Vatican State in the UN approval of the Directive for a moratorium against the criminal conviction, also including the capital, towards LGBTI people, or undue influence by the clergy themselves in parliamentary debates, most often Italians, for the extension of LGBTI rights. Love should be a commandment of the Gospel and love should have neither borders nor limitations, or, even less, conditions: the universal love is daily demeaned and insulted by those who instigate hatred only against those who are considered “different”. Nicola Mette will be on public clothed with a long robe and tell, almost like a mantra, the fateful words, “Who am I to judge”, instilling in these not only wonder at the masterful stage presence, customary for clerical circles, but also for facial expression and gestures, gestural and performative that cause it to detect the contradiction that you live and breathe within the church hierarchy.
A new performance / action will join the many that already the artist has been able and willing to lead about, endorsing even more as the aesthetic quality of this artistic expression can ensure that significant useful to denounce a confessional fundamentalism, sinister and inhuman, intolerant and violent.
Nicola Mette will be accompanied by a young man dressed as a priest who will hold the heavy robe, even in this indeed, you can find almost allegorically the scope of a hierarchical, top-down, male-dominated and sexist, figures submissive to the total uncritical service of a millennial organization which in most cases makes with profit the basis of its power and with terror and hate the basis of their own propaganda, and thus of its hegemonic power. ‘
Kelos Italia di: Marco Porcu – Foto: Tiziana Pala – Photomania di: Serafino Deriu
Chi sono io per giudicare è il titolo che l’artista Nicola Mette (1979) ha scelto per la sua nuova Performance/Azione a Cagliari.
Tape: Comune di Cagliari, Bastione di S. Remy, Torri di San Pancrazio, Torre dell’Elefante, Cattedrale di Santa Maria Assunta e di Santa Cecilia, Basilica di Bonaria, Centro storico.
Chi sono io per giudicare. Una frase che ha fatto il giro dei media internazionali: pronunciata dal Pontefice attuale, Francesco, e che si riferiva a una domanda fattagli durante un viaggio di ritorno in aereo da un giornalista in merito agli scandali e alle violenze pedofile perpetrate da diversi preti, porporati ed esponenti del clero in giro per il mondo. La risposta del Pontefice è stata decontestualizzata ed è stata vista subito come un’apertura dello stesso sui temi inerenti l’omosessualità, mentre, in realtà, era niente altro che una presa di distanza rispetto a tali fatti di sopruso e di violenza nei confronti di minori da parte di alcuni officianti il culto cattolico.
Chi sono io per giudicare vuole essere, come sempre nelle performance/azione di Nicola Mette, un momento di riflessione e di denuncia sociale.
Si presenterà indossando la lunga veste cardinalizia, un rosso intenso che esprime per la sua lunghezza e la sua portata maestosa lo sfarzo ecclesiastico, quello sfarzo dietro al quale alcuni esponenti, anche di rilievo, del clero hanno potuto commettere atti di violenza e di sopraffazione nei confronti di minori, alcuni sono rimasti impuniti, altri sono stati impunemente amnistiati.
Chi sono io per giudicare vuole essere anche una frase di ironia pura e di cinico atteggiamento nei confronti di chi si erge spesso a colui che condanna l’omosessualità come forma aberrante di esistenza, come malattia, addirittura come forma da estirpare anche attraverso un’eliminazione psicologica e fisica, ricordiamo le allucinanti e terrificanti dichiarazioni di Don Massimiliano Pusceddu, “I gay sono nemici di Dio e devono morire”, istigando l’odio, mentre assume atteggiamenti di clemenza nei riguardi di atti di perversione e di pedofilia contro figure inermi e innocenti. Nel 2015 Don Silvio Foddis invitó ad usare il lanciafiamme contro i gay per una foto che aveva visto in un Pride dove c’erano due ragazzi nudi.
Un vero virus in Sardegna che si aggira non solo tra i preti che nell’omelia istigano le persone contro la comunità LGBTI.
Nel 2012 a Sindia (NU) in Sardegna nella performance/azione Libertade Paridade Sessualidade l’artista è stato oggetto di critiche nell’omelia da parte del sacerdote ed è stato preso in giro da alcune persone dello stesso paese con delle scritte per terra davanti a casa sua e in mezzo alla strada all’entrata del paese: “ VERGOGNA” – “NICOLA METTE SEI LA VERGOGNA DEL PAESE GAY”.
La stessa Radio Maria (2016) ha preso una foto da internet, che ha pubblicato come citazione in un articolo da il Fatto Quotidiano, della performance/azione QUOD AMOR CONIUNXIT NON SEPARAT LEX, realizzata a Milano, senza citare la fonte, parlando male della legge Cirinnà e delle Unioni Civili, dicendo che, qualora la legge fosse stata approvata, le coppie omossessuali dovevano sposarsi cosi: uno vestito con abito da sposo e altro con abito da sposa bianco, stravolgendo totalmente il significato. Nella performance, invece, l’abito significava l’unità delle persone, ironizzando quell’abito bianco usato e portato all’altare dalle donne prive della loro verginità.
Casi di omosessualità all’interno del clero sono, come naturale siano, esistenti e persistenti: tutto questo passa sotto silenzio all’interno di una patina di ipocrisia e di un sistema, quello clericale, che spesso si permette di interferire nel mondo istituzionale: leggiamo, infatti, del diniego in seno all’ONU dello Stato del Vaticano all’approvazione della direttiva per la moratoria contro la condanna penale, includendo anche quella capitale, verso persone LGBTI, o inopportune influenze da parte dello stesso clero nei dibattiti parlamentari, quasi spesso italiani, a favore dell’estensione dei diritti LGBTI.
Amare dovrebbe essere un comandamento del Vangelo e amare non dovrebbe avere né confini, né limitazioni, né, tanto meno, condizioni: l’amore universale viene ogni giorno svilito e offeso da chi istiga soltanto avversione nei confronti di chi viene considerato “diverso”. Nicola Mette si presenterà al pubblico ammantato da una lunga veste e pronuncerà, quasi come fosse un mantra, la fatidica frase, chi sono io per giudicare, incutendo nei presenti non solo stupore per la presenza scenica magistrale, consueta per gli ambienti clericali, ma anche per l’espressione facciale e mimica, gestuale e performativa che indurrà a rilevare la contraddizione che si vive e si respira all’interno delle gerarchie ecclesiastiche.
Una nuova performance/azione si affiancherà alle tante che già l’artista ha saputo e voluto condurre in merito, avvallando ancor di più come la qualità estetica di tale espressività artistica possa garantire quel significante utile a denunciare un integralismo confessionalista bieco e disumano, intollerante e violento.
Nicola Mette sarà accompagnato da un giovane vestito da prete che sorreggerà la veste, pesante, anche in questo si può trovare quasi allegoricamente la portata di una struttura gerarchica, verticistica, maschilista e sessista, figure al totale servizio acritico di un’organizzazione millenaria che nella maggioranza dei casi fa del lucro la base della propria potenza e del terrore e dell’odio le basi della propria propaganda e, quindi, del proprio potere egemonico.