Rajm in arabo significa lapidazione: pietre utilizzate come un’arma violenta per uccidere una persona, per decretare una condanna a morte in quei paesi dove non vengono rispettati i Diritti Umani, ma anche un oggetto della memoria, un simbolo della storia di una grande comunità religiosa come quella Ebraica.
Rajm è il naturale seguito di Isis Fuck You, performance realizzata dall’artista nel 2014 ad Amsterdam e che introduceva al tema del terrorismo islamico: gettandosi con un elastico (jumping) dall`altezza di 60 metri, Nicola Mette ha ricreato il tragico destino di alcuni omosessuali, perseguitati dai militanti del sedicente Stato Islamico, destinati a cadere nel vuoto a causa della loro scelta di vita.
Rajm è una denuncia alle atrocità e alle barbarie commesse dagli estremisti islamici ormai ogni giorno nei confronti di qualunque minoranza. Dove vige la legge della Shari’a la parola tolleranza non ha alcun significato e il rispetto, dovuto ad ogni individuo in qualità di persona, nei confronti di persone “accusate” di omosessualità non ha ragion di esistere: l’amore tra due persone dello stesso sesso è condannato dal Corano e l’ambito in cui questo tipo di relazioni viene definito è unicamente quello del reato.
Così, due anni fa, a Palmira, due uomini sono stati giustiziati, lanciati nel vuoto dal tetto di un edificio per poi essere dati in pasto alla folla che con estrema violenza si è accanita su quei corpi ormai esamini lapidandoli.
Per incoraggiare la folla, i militanti si preoccupano di far trovare le pietre vicino ai luoghi scelti per le esecuzioni. La partecipazione a questi eventi è molto alta: in tanti affrontano ore di viaggio dalle città vicine per poter assistere allo spettacolo di morte. Anche alle donne, in genere segregate in casa, viene concesso un permesso speciale per partecipare ad un evento pubblico che semina terrore.
Una pratica brutale attuata in dieci stati islamici, Qatar, Arabia Saudita, Iran, Mauritania, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sudan, Yemen e l’Afganistan.
L’idea della performance nasce dall’esigenza di reagire, in qualche modo, a ciò che quotidianamente viene raccontato dai media nazionali e internazionali, un tentativo, attraverso un atto, di opporsi a questa violenza e al contempo raccontare questa scomoda verità attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea.
Non è la prima volta che l’Isis uccide in questo modo uomini accusati di omosessualità: spesso vengono organizzate delle spedizioni per catturarli.
Il 3 Aprile 2019 il sultano Haji Hassanal Bolkiah nel Brunei uno Stato situato sull’isola del Borneo, nel sud-est asiatico dove vige una monarchia assoluta di origine islamica, ha introdotto una serie di leggi contro gli omosessuali e gli adulteri che rischiano la morte per lapidazione. Dopo una serie di proteste in tutto il mondo il sultano ha rettificato la condanna escludendo il sesso gay dalle terribili esecuzioni.
Mentre in Cecenia dal 2017 è caccia alle persone LGBTI perseguitate, picchiate, arrestaste e uccise.
Le pietre in Rajm si traducono sia in ripresa della feroce arma che finisce la vittima condannata, sia, infine, nel ricordo dei propri avi, dei propri cari, dei propri familiari, come lo sono quelle pietre che vengono portate sulla tomba nell’usanza ebraica: l’artista si troverà per terra con una sedia rotta, legato a essa, rimandando, così, all’immagine del condannato omosessuale a Raqqa, capitale dello stato islamico e a Mosul , gettati da un palazzo e, poi, finiti a colpi di pietre.