Violenza sulle donne:Il feminicidio in India e in Italia Nuova Dehli, 7 ottobre 2009: muore assistente universitaria indiana dopo sette giorni di agonia dandosi fuoco davanti al palazzo del governo a seguito del suo licenziamento. Pavitra bhardaj, 40 anni, era assistente nel laboratorio chimico dell’università Bhim Rao Ambedkar.
Il 30 settembre aveva accusato i suoi colleghi di averla stuprata tre anni fa. Negli ultimi sette mesi aveva cercato di denunciare il fatto alla polizia locale e al nucleo crimini contro le donne, all’ufficio del capo di governo Sheila Dikshit e al vice-cancelliere dell’università di Dehli.
Nemmeno il marito, capo della polizia a Dehli, è riuscito ad aiutarla. Darsi fuoco è stato un atto estremo di protesta secondo il fratello. Spiegando le ragioni del suo gesto la donna ha detto alla polizia che nessuno aveva ascoltato le sue grida d’aiuto in altri modi. Condannati a morte invece i 4 stupratori della studentessa indiana 23enne, violentata sull’autobus e morta dopo due settimane a causa delle gravi lesioni interne. Questo è stato il primo caso di condanna capitale per reati sessuali inflitta dopo l’inasprimento delle pene in seguito all’ondata di violenze nel paese. Nel 2009 in India il 26,3% di donne sono state uccise secondo uno studio globale effettuato dall’UNODC ( United Nations on Drugs and Crime).
L’India non è certo l’unico paese dove avvengono violenze sulle donne : lo stupro e il femminicidio sono all’ordine del giorno anche in Italia: Tra il 2000 e il 2011 ci sono stati 728 casi, nel 2012, 124. Secondo una ricerca effettuata dall’Eures (il portale europeo della mobilità professionale) il primato va alla Lombardia, dove si verificano quasi la metà dei casi : si pensi alla brasiliana 29enne Marilla Rodrigues Martins. Le vittime principali sono le donne tra i 25 e i 54 anni, nella maggior parte dei casi uccise da un uomo con cui avevano una relazione sentimentale. Al Sud si sono verificati il 30,7% dei casi : Marta,27 anni, sarda, uccisa dall’ex ragazzo stalker a causa dell’inefficienza dei Carabinieri, che non hanno ascoltato la ragazza quando si è presentata ripetutamente in Caserma con numerosi messaggi del molestatore per denunciarlo, nè quando li ha chiamati per lanciare il suo ultimo grido d’aiuto. Dopo lo stalking o gli abusi, le vittime non riescono a liberarsi dalla trappola in cui loro stesse pur non consapevolmente erano cadute.
Il decreto-legge n.93: “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere nonché in tema di protezione civile e di commissariato delle province”, entrato in vigore il 17 agosto 2013 è diviso in 4 parti; la prima si occupa del femminicidio. Emendamenti alla legge sono stati presentati da parte del PD, Sel e Movimento cinque stelle, che chiedono una modifica radicale della legge per rendere conforme il testo alla Convenzione di Istanbul (11 maggio 2011) , sottoscritta dal Consiglio d’Europa e ha ad oggetto la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. In particolare gli articoli del decreto più contestati sono il primo e il secondo , ovvero quello che mira a rendere più incisivo gli strumenti della repressione penale e quello che modifica i procedimenti penali per i maltrattamenti.
Il decreto viene criticato perché inserito nel pacchetto di norme sulla sicurezza. Un’altra critica mossa al decreto-legge riguarda il fatto che la violenza maschile sulle donne sia espressa in termini di “emergenza”. Nell’analisi del testo si dice infatti che i reati considerati destano particolare allarme sociale perché perpetrati a danno dei soggetti “deboli”. Considerare le donne come “deboli” giustifica l’adozione di politiche “protezionistiche” dello Stato. Nelle convenzioni internazionali sui diritti umani delle donne, ratificate dall’Italia, le donne vittime di violenza sono considerate “soggetti vulnerabilizzati della violenza subita”.
Tornando all’India, per combattere il femminicidio sono nate le cosidette “brigate rosse” di donne : ragazze indiane che pattugliano le strade dell’Uttar Praddesh contro gli stupratori. Adolescenti che proteggono giovani donne dalle molestie sessuali perché a loro volta sono state vittime di stupri e questi crimini sono rimasti impuniti. Lo stupro, che avviene ogni 20 minuti, è diventato una “cultura”all’interno del paese. Le ragazze, che all’inizio erano 15 e oggi sono arrivate ad un centinaio, ogni 29 del mese convocano una manifestazione per commemorare il terribile abuso subito dalla studentessa 23enne, al grido di “Stop alla Violenza, ora!” e “Vogliamo più sicurezza”.
Ciò ha spinto il governo ad utilizzare misure più repressive nei confronti dei colpevoli di questi atti, come la pena di morte. Quale strategia politica è la più efficace : quella indiana, radicale ed in certi casi estrema o quella italiana, che tentenna nell’adattarsi al diritto internazionale? Se guardiamo all’angosciante situazione italiana nessuna ha prodotto validi risultati. Si dovrebbe cambiare radicalmente punto di vista e la classe politica al governo dovrebbe cercare di ricordare di più quei visi ormai scomparsi, concentrarsi sul singolo caso in questione, distinguere il femminicidio dalle norme sulla sicurezza e solo dopo vedere in prospettiva ciò che può realmente fare.
In India la soluzione al problema è stata la pena di morte: Si toglie una vita a chi ne ha strappata via una. Non è una condanna ma una via di fuga e di certo non dà la certezza che gli abusi non si ripetano su altre donne innocenti. La conseguenza? Per Pavitra l’unica via d’uscita, la sua “scelta”, è stata darsi alle fiamme.