Gay pride Milano Roma Riconosciuta l’adozione a favore della mamma non biologica in una coppia dello stesso sesso Per la prima volta un Tribunale italiano riconosce l’adozione di una minore da parte della convivente dello stesso sesso della madre biologica. L’adozione è disposta in base all’articolo 44 della legge italiana sull’adozione, il quale consente l’adozione in casi particolari ovvero quando non è possibile quella che è chiamata adozione legittimante riconsociuta solo in presenza di un rapporto di coniugio tra gli adottanti e dello stato di abbandono del minore. Nel caso dell’articolo 44, invece, la legge intende salvaguardare gli interessi dei minori in tutti quei casi, specificamente previsti, in cui la situazione di fatto richiede che l’adozione venga pronunciata. Nel caso concreto, le due donne hanno portato avanti insieme il progetto di genitorialità, realizzato in Spagna facendo ricorso alla fecondazione medicalmente assistita. Pur essendo sposate in Spagna, per la legge italiana esse sono una mera coppia convivente che – per rafforzare le reciproche garanzie e i diritti della minore – hanno stipulato accordi economico-assistenziali e si sono iscritte nel registro delle coppie di fatto di un municipio della loro città. La bambina riconosce entrambe come proprie mamme, è accudita anche dai nonni ed è inserita con profitto nella scuola materna. Secondo i giudici del Tribunale per i minorenni di Roma vi sono tutti i presupposti per accogliere la domanda della co-mamma (step-chil adoption), che è sostenuta anche dalla madre biologica. La sentenza per l’ampiezza delle sue motivazioni si pone come il primo significativo intervento della giurisprudenza italiana in materia di diritti dei figli nati da genitori dello stesso sesso. Va tenuto presente che l’adozione in casi particolari ponendosi come norma di chiusura del sistema, come bene spiegano i Giudici, necessita sempre di una verifica in concreto dell’interesse del minore ad essere adottato e che potranno aversi in futuro anche pronunciamenti in apparente contraddizione con la sentenza in esame. D’altra parte, il superiore interesse del minore è il fulcro di tutta la normativa in materia di adozione e se questo manca o non è provato, l’adozione potrà non essere pronunciata. Quel che è di fondamentale importanza è che la presente sentenza conferma e precisa quello che è ormai un principio: ovvero che non vi è un pregiudizio per il minore a crescere in famiglie omogenitoriali e che l’omogenitorialità è parimenti sana e meritevole di essere riconosciuta. Eventuali pregiudizi e condizionamenti sono nella società, quindi esterni al nucleo familiare delle coppie dello stesso sesso. Secondo il Collegio dei giudici: 1) la legge non condiziona l’adozione in casi particolari alla sussistenza del vincolo matrimoniale o all’orientamento sessuale dell’adottando, né la vieta ai single o nel caso di coppie dello stesso sesso; 2) una interpretazione dell’adozione in casi particolari in senso discriminatorio sarebbe contrario alla ratio della legge che intende garantire il preminente interesse del minore. Non si può presumere la dannosità per un minore di un contesto familiare omosessuale, né può presumersi che in tale contesto l’interesse preminente del minore non possa realizzarsi. Il superiore interesse del minore va valutato in caso concreto e nel caso esaminato la situazione della bambina è tale che dall’adozione le verranno vantaggi sul piano giuridico e un consolidamento della situazione che di fatto già vive con profitto; 3) una interpretazione dell’adozione in casi particolari che fosse discriminatoria nei confronti delle coppie omosessuali sarebbe in conflitto con la Costituzione. Infatti «la Corte costituzionale riconosce alle unioni omosessuali il diritto fondamentale di vivere liberamente la propria condizione di coppia, così come è per le unioni di fatto tra persone di sesso diverso. Questo Collegio ritiene che il desiderio di avere dei figli, naturali o adottati, rientri nel diritto alla vita familiare, nel “vivere liberamente la propria condizione di coppia” riconosciuto come diritto fondamentale, anzi ne sia una delle espressioni più rappresentative. Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l’adeguatezza degli adottanti a prendersene cura, un’interpretazione [dell’adozione in casi particolari] che escludesse l’adozione per le coppie omosessuali solo in ragione della predetta omosessualità, sarebbe un’interpretazione non conforme al dettato costituzionale in quanto lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela dei diritti fondamentali (art. 2 Cost.), fra cui la Corte costituzionale annovera quello delle unioni omosessuali a vivere liberamente la propria condizione di coppia»; 4) costituirebbe una violazione della Convenzione europea dei diritti umani il non riconoscimento dell’adozione in casi particolari quando a chiederla sia una persona omosessuale non sposata che viva in stabile relazione con persona dello stesso sesso, dal momento che tale adozione è riconosciuta a favore di persone eterosessuali non sposate in stabile coppia eterosessuale. La Corte europea dei diritti umani ha più volte precisato che non si può fare discriminazione o prevedere trattamenti differenziati, anche con riferimento all’adozione, tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali (sentenza della grande Camera 19 febbraio 2013 X e altri c. Austria); I Giudici del Tribunale per i minorenni di Roma riconoscono che la possibilità di introdurre o meno il matrimonio per le coppie omosessuali, così come la decisione di ammetterle alla domanda di adozione (legittimante), costituisce una scelta del legislatore, che deve operare il bilanciamento tra contrapposti interessi, ma che con riferimento all’adozione in casi particolari – consentendolo la ratio e la lettera della legge – «si impone» una interpretazione che evita pregiudizi per terzi, nel caso di specie una bambina. «Nel caso di specie» scrivono i Giudici «non si può non tenere conto delle situazioni che sono da tempo esistenti e cristallizzate: (la bambina) è nata e cresciuta con la ricorrente e la sua compagna, madre biologica della bimba, instaurando con loro un legame inscindibile che, a prescindere da qualsiasi “classificazione giuridica”, nulla ha di diverso rispetto a un vero e proprio vincolo genitoriale. Negare alla bambina i diritti e i vantaggi che derivano da questo rapporto costituirebbe certamente una scelta non corrispondente all’interesse della minore, che, come indicato dalla corte costituzionale stessa e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, occorre sempre valutare in concreto. Nel caso di specie non si tratta, infatti, di concedere un diritto ex novo, creando una situazione prima inesistente, ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da anni, nell’esclusivo interesse di una bambina che è da sempre cresciuta e stata allevata da due donne, che essa stessa riconosce come riferimenti affettivi primari, al punto tale da chiamare entrambe “mamma”. [L’adozione in casi speciali] costituisce, a tal fine e da sempre, l’apposito strumento, configurandosi come una “porta aperta” sui cambiamenti che la nostra società ci propone con una continuità ed una velocità cui il Legislatore fatica a tenere dietro, ma cui il Giudice minorile non può restare indifferente, se in ogni suo provvedimento deve, effettivamente, garantire l’interesse superiore del minore». I Giudici non tralasciano di esaminare neppure la situazione dei richiedenti con riferimento ai presupposti che fanno sì che il Legislatore italiano preferisca riservare l’adozione ordinaria alle coppie sposate. Sottolineano che: «se uno dei motivi, per i quali la legge indica nelle coppie coniugate il nucleo maggiormente idoneo per l’adozione dei minori, è costituito dalla stabilità, così come sostenuto dalla Corte costituzionale stessa, non pare che nel caso di specie emergano elementi in contrasto, dato che le due donne convivono ormai stabilmente da più di dieci anni ed hanno voluto contrarre, per rafforzare il loro reciproco impegno di fedeltà, il vincolo matrimoniale in uno dei Paesi europei che riconosce tale diritto a tutti gli uomini e le donne». Con riferimento all’istruttoria condotta e agli accertamenti affidati ai consulenti del Tribunale, il Collegio sottolinea che sono: «degne della massima considerazione le valutazioni estremamente positive che la psicologa, l’assistente sociale e l’insegnate hanno riportato sullo stato di salute fisica e psicologica [della bambina], che è apparsa a tutti serena, unita da un profondo legame affettivo alle due madri, e assolutamente ben inserita nell’ambiente scolastico e familiare che la circonda, ove tra l’altro, grazie anche alla presenza costante dei nonni, ha avuto modo di osservare vari modelli di coppie esistenti, non risultando per tanto isolata o pregiudicata a livello emotivo in alcun modo». Con riferimento a quale sia la condizione per la crescita e lo sviluppo equilibrato di un minore, il Collegio sottolinea che i giudici onorari, che hanno partecipato alla decisione: «affermano che il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno. In altri termini, non sono né il numero né il genere dei genitori a garantire di per sé la condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano. In particolare, hanno messo in evidenza come ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono, indipendentemente dal fatto che essi siano dello stesso sesso o che abbiamo lo stesso orientamento». In chiusura, il Collegio dei giudici individuano all’esterno della famiglia quelli che potrebbero essere gli eventuali pregiudizi di un minore allevato da due genitori dello stesso sesso. Dicono i Giudici: «Gli elementi sui quali il Collegio ha posto la sua attenzione, nella convinzione che può, non essendovi alcun divieto nella legge in vigore, e deve aderire a questa interpretazione, sono il benessere e la tutela di un sano sviluppo psicologico della piccola, il cui unico pregiudizio nel percorso di crescita andrebbe presumibilmente rintracciato nel convincimento diffuso in parte della società, esclusivamente fondato, questo sì, su pregiudizi e condizionamenti cui questo Tribunale, quale organo superiore di tutela del benessere psicofisico dei bambini, non può e non deve aderire stigmatizzando una genitorialità “diversa”, ma parimenti sana e meritevole di essere riconosciuta in quanto tale».